Se avessi dieci anni meno…
Se avessi scelto lui/lei invece di lui/lei…
Se tutto questo non fosse mai successo…
Se le cose fossero andate diversamente, adesso, forse…
Se lui, se lei, se il mondo…
Se quella volta…
Quante volte ti è capitato di pensare almeno due di queste ipotesi?
Esiste un termine giapponese che ho scoperto alcuni anni fa e di cui ho parlato in altri post senza mai approfondire.
Il Kintsugi.
Letteralmente significa “riparatore che usa l’oro” ed è un’arte che affonda le sue radici in tempi molto lontani.
Nella pratica accade che, laddove si crea una crepa o una rottura in un oggetto di porcellana, queste, grazie alle sapienti mani di raffinati artigiani, vengono riparate con lacche naturali e metalli preziosi come l’oro e l’argento.
Al di là della bellezza del risultato e del fatto che ogni opera aggiustata con questo metodo rimanga per sempre unica nel suo genere, ti vorrei far riflettere su un aspetto.
La settimana scorsa ti avevo chiesto di raccontarmi cosa accade quando ti trovi davanti ad un “problema”; segui la parte rettiliana che ti induce alla fuga o affronti il problema per poi scegliere come vale la pena proseguire?
In molti mi hanno risposto che affrontano il problema e poi scelgono che piega dare alla propria vita.
Eppure, c’è un eppure.
Ora, immagina.
Ci sei tu e c’è una realtà fuori di te che non ti piace: potrebbe essere una malattia, una mancanza, la frenesia o una pandemia.
C’è, la fuori, qualcosa che ti blocca, ti frena, non ti fa stare bene.
Lo senti?
Il compagno/la compagna, i figli, la famiglia, la scuola, il lavoro, il fisico, lo stato.
Quel qualcosa ti pesa e non desideri altro che fuggire, allontanare questo pensiero finché non sarà lui stesso a decidere di andarsene.
Quindi:
-rimandi a domani quello che andrebbe fatto oggi,
-deleghi la tua felicità ad un aperitivo troppo carico,
-sfoghi i tuoi pensieri davanti ad una lauta cena con amici parlando di chi non è presente.
Se, poi, accade che queste cose non le puoi più fare in compagnia, allora l’aperitivo te lo bevi da sola/o ed è sempre troppo carico, sfoghi le tua rabbia accanendoti sulla tastiera del pc e perpetui il tuo rimandare a tempi migliori.
Non è vero? (Beh non per tutti così, ma un qualcosa di simile)
Forse perché appartiene proprio alla nostra parte rettiliana, adottiamo spontaneamente, in un primo momento, questi tentativi di fuga.
Io li chiamo così.
Poi accade che ti stanchi anche di fuggire e,in modo via via sempre più raffinato, prendi in mano la situazione e la guardi per quello che è.
Una malattia, una mancanza, il ritmo serrato, un litigio, un trauma.
Dai un nome ad ognuna di queste cose e scegli di non lasciar fare ad altri quello che è di tua pertinenza.
Scegli di lavorare su quella ferita, sia essa un piccolo crepo, sia essa una rottura completa.
Scegli di ricostruire quello che sembrava perduto e scegli di farlo con la consapevolezza che nulla sarà mai come prima.
No.
Perché se tutto fosse come prima a nulla sarebbe servito passarci in mezzo.
Ogni volta che affronti un trauma affettivo, psicologico, emozionale hai la possibilità di cesellare con cura la ferita che ti porti dentro.
Lo puoi fare, però, solo raccogliendo quei cocci, prendendo in mano quel che resta, senza scappare o qualcun altro li prenderà e, allora, avrai perso l’opportunità di arricchire realmente la tua vita.
Da qualche parte ho letto che il kintsugi è accostato alla resilienza, io credo vada oltre.
L’arte del kinstugi porta dentro di sé la presa di coscienza che qualcosa si è rotto, la volontà di ripartire da quella frattura e la forza di ricordare che, da lì, si è passati per diventare ciò che si è.
Quindi, invece di chiederti:
-Se avessi dieci anni meno…
-Se avessi scelto lui/lei invece di lui/lei…
-Se tutto questo non fosse mai successo…
-Se le cose fossero andate diversamente, adesso, forse…
-Se lui, se lei, se il mondo…
-Se quella volta…
Prendi in mano lacca ed oro e cura quei crepi, quelle cicatrici che sono lì per ricordarti chi sei.
Ogni volta che rileggo la favola de “L’unicorno Quantico“, mi rendo conto di quanta forza ci sia dietro la domanda della mamma:
Vedi Quantico quante cose nuove hai imparato prendendoti una pausa?
Sei ancora sicuro di essere “povero e triste” per quello che ti è capitato?
Pensaci.
Ti aspetto.